16 ottobre 2012

La guerra non è un gioco per accattoni.


 Stando a quanto credo di aver capito dopo aver fatto finta di leggere le didascalie alle immagini di questo articolo sull’Huffington Post, lo scorso trimestre l’inflazione non ha coinvolto soltanto la benzina, le pile per il controller della Xbox, i farmaci mucolitici e altri comuni beni a domanda inelastica, anche le spese militari hanno subìto un aumento dei prezzi; per comprare un F-35 si è passati da 80 a 127 milioni di verdoni, pertanto credo che il sogno di avere un cacciabombardiere parcheggiato in seconda fila davanti alla stazione ferroviaria di Genova Principe sia destinato a rimanere ancora a parecchi colpi di tosse grassa di distanza dal concretizzarsi.

Prenderei un più economico carro armato (10 milioni di cocuzze, cocuzza in più, cocuzza in meno), ma temo che non sortirebbe lo stesso effetto minatorio di un fottutissimo jet. Il fine della mia corsa agli armamenti è incutere lo sprint necessario ai 109833 muratori, operai, tecnici, e uomini in camicia che con flemma da un decennio stanno partecipando alla ristrutturazione della stazione stando a guardare i soliti due stronzi che fanno tutto il lavoro.
Il magnifico progetto architettonico mirato alla trasformazione dell’intero edificio in una labirintica trappola  per turisti è geniale e va accelerato. Per dire, ho visto dei tedeschi piangere mentre cercavano il binario 1s ed ho ancora la pelle d'oca.

Tuttavia, se invece di essere uno squilibrato che fantastica su come velocizzare i tempi dei lavori pubblici io fossi uno di quelli che ha potere decisionale su argomenti come quanti e quali aerei militari acquistare, saremmo fottuti. Esattamente come per gli smartphone aspetterei l’uscita del modello successivo per valutare l’acquisto dell’F-34 o dell’F-34 4G piuttosto che di un prodotto analogo magari griffato Samsung, e comunque mi terrei il mio nokia del cazzo.
Sono un tradizionalista e so che siamo in tanti a esserlo.

Sapete qual è il futuro prossimo dell’economia bellica? Si? No? Non importa, mettete le vostre idee da parte serrando bocche e sfinteri e ascoltatemi: il futuro dell’industria bellica è la fabbrica di armi biologica tutta italiana, a chilometri zero, equa e solidale. La fabbrica che s’impegna a difesa dell’ambiente, che garantisce condizioni di lavoro dignitose ai dipendenti e che rispetta le tradizioni locali.
Una fabbrica umana, a misura d’uomo, che cura l’immagine e il marketing, con CEO gioviali, telegenici, perfetti per prestare la faccia a qualsiasi mostro riemergerà dalle ceneri del centrodestra italiano.

In fondo siamo tutti disposti a pagare di più per un mazzetto di bombe a grappolo fabbricato come una volta, se questo fosse piazzato con astuzia nel giusto reparto di Eataly, e un po' mi dà i brividi pensare che a nessuno tutto ciò dia i brividi.



Hit the road
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"Yeah bro, I know that feel"