23 gennaio 2010

Personaggi Mitologici: Yu Suzuki




Da che ho memoria, e facendo un uso compulsivo di bevande alcoliche non è che ne abbia molta, sono soltanto due gli uomini che hanno in un qualche modo influenzato la mia esistenza. Il primo, mio nonno, è morto da un pezzo. Il secondo, Yu Suzuki, non fa più un videogioco decente da un pezzo.
Devo ammettere di avere un certo talento nello scegliere i mentori giusti.

Yu Suzuki è un game designer nato da qualche parte in Giappone almeno una cinquantina di anni or sono, probabilmente è già morto, o forse no, non ne ho davvero la minima idea. Se sei così curioso guarda su wikipedia, ma non mi sembra il caso di essere tanto pignoli, vivo, morto, che differenza vuoi che ci sia? Boh. Alcuni lo considerano la nemesi di Shigeru Miyamoto, secondo altri è invece più brillante assai del suo collega nintendaro, ma sono opinioni.

Ricordare Suzuki (che secondo me è morto e va quindi ricordato) ha una parvenza di senso soprattutto per due opere d’intrattenimento elettronico: Virtua Fighter e Shen Mue. Potrebbero anche essercene altre, ma oggi parlerò di queste. E spero siano giochi che tu, smaliziato lettore, conosci già, perché altrimenti non ci capirai una mazza di quanto sto per scrivere.
In tal caso fai risparmiare del tempo a entrambi e vola a vedere se ci sono aggiornamenti sulla home page della Gazzetta dello Sport, sfigato.

Tornando a noi non-sfigati, è convinzione comune tra chi oggi ha almeno 28 anni e ha passato l’adolescenza a perder tempo dietro ai videogiochi che i succitati titoli siano capolavori indiscussi e avanguardistici, opere immortali pregne del sapiente uso di tutto quello che quando si realizza un videogioco va usato.


Virtua Fighter è Virtua Fighter, puoi amarlo o odiarlo ma non puoi negare che fu la cosa più incredibile che potevi provare a in sala giochi nei primi anni '90. La cosa più incredibile dopo ingurgitare due tubetti di cristal ball e cagare bolle blu per ore. Esperienze.

Per Shen Mue bisogna fare un discorso più ampio. Così come Cameron da ben 12 (numero a caso) anni aveva in mente Avatar e se ne è rimasto lì ad aspettare che la tecnologia colmasse il gap con la sua immaginazione, Suzuki ideò Shen Mue quando ancora si infilavano monetine da 100 lire per farsi una partita a pac-man, ed aspettò il Dreamcast per coniare il suo capolavoro.

Un capolavoro (Shen Mue, non Avatar) costato così tanto che ogni possessore della console SEGA avrebbe dovuto comprare due copie del gioco solo per rientrare nelle spese di produzione, frase che mi ostino a ripetere tipo disco rotto ogni volta che mi capita. A furia di averla ripetuta così tante volte è per forza diventata una verità.

Quello che successe dopo è storia.
Fosse stata religione, saremmo tutti usciti dall’aula un’ora prima.
Che battuta brutta.

Stand by
Drink! il primo blog videoludico che proprio non ce la fa a parlare di videogiochi seriamente. È patologico.