25 novembre 2012

Sopravvivere all'inferno [seconda parte]




Sopravvivere all’inferno [clicca qui per leggere la prima parte]

(25 anni dopo)

Era una fredda e buia notte tardo autunnale.
Il calabrese, la mia irrequietudine ed io camminavamo da una decina di minuti seguendo un sentiero che illuminavamo grazie al display dei nostri cellulari. Barcollavamo entrambi, ma lui un po' di più, dato che a reggerlo non sembrava esserci nessuna paranoica manifestazione di uno stato d'animo del cazzo.
Ogni tanto una lucciola ondeggiava nell’aria prendendoci visibilmente per il culo.


Mentre seguivo questo piccolo uomo dagli occhi minuscoli e le mani grandi che si addentrava claudicante in un bosco nero come la pece, l’aria fresca alimentò qualche dubbio, alcuni legittimi, per carità, altri leggermente meno.

“Se mi smarrissi o fossi costretto a scappare, non avrei scampo.” Dissi controllando che non fosse scappata una chiamata accidentale dal mio telefono. 

Non c’era copertura, il mio credito era salvo.

“Costretto a scappare?” senza fermarsi e senza guradarmi, chiese il calabrese.
“Costretto a scappare, si, esatto. Ho un pessimo senso dell’orientamento!” sottolineai.
“Emix, non stiamo facendo altro che andare a troie. Se togli i particolari, stiamo solo andando a pagare una mignotta che ci succhi le palle. Per quale ragione dovresti essere costretto a scappare? Cammina.”

Già. Perché? Mi venne in mente Call of Duty. Qualcosa di meglio a cui pensare? Chissà se il calabrese gioca a Call of Duty.
Chissà se ha i pollici opponibili, non ci scommetterei. E guarda come sono grandi le sue mani, non ci avevo fatto caso.
Al diavolo, tra un po' si scopa.

“Così, tanto per dire.” dissi.
“È così strano pianificare sempre una via di fuga?” domandai.
“Si, cazzo, si!”
“Oh.”
“Conosco persone che si trasferirebbero dentro bordelli come questo, senza mai uscirne, e ci sono persone che hanno completamente perso la testa una volta stati sull’Arca.”
“Abbi fiducia.” continuò, “quel posto è una bomba. E cammina, sei lento.”

Bomba o non Bomba, mi sentivo a disagio. Desiderai un drink.
Partecipare a un orgia privata in un capannone sperduto tra i boschi grazie all’invito di un tale conosciuto 2 ore prima in un bar frequentato da tossicomani forse metterebbe tutti a disagio, non lo so, mi documenterò.

Diciamo che il numero minimo di ore che devono passare dal momento in cui ognuno si dimentica il nome della persona che ha appena conosciuto fino al momento in cui si decide di andare insieme a puttane sia almeno 48, a me ne servirebbero comunque 48mila in più.
Ho sempre avuto problemi col concetto di fiducia, il vento pungente di quella gelida sera tardo autunnale mi ricordò che non amo andare a puttane con gli sconosciuti.
È curioso come certi pensieri abbiano il vezzo di presentarsi nei momenti più inutili; non ditemi che non avete mai pensato di dare una svolta alla vostra vita prima di andare a dormire. Pensarci al mattino sarebbe più utile.

Ma offrimi da bere e potrei seguirti anche all’inferno se mi stai simpatico, fanculo il cervello e il concetto di fiducia.
Non avevo ancora deciso se il calabrese mi stesse simpatico, di lui non sapevo molto.

“Perché ti chiamano il calabrese?” gli chiesi. Mi rispose subito.
“Una volta la mia fidanzata mi ha tradito e io le ho scritto puttana sulla fronte usando un coccio preso dai resti di una bottiglia di vino”.
“Eh?”
“Era un Cirò.”
“Ah.”

“Hey guarda!”
“Cosa?”
“Siamo arrivati.” Disse compiaciuto, non lasciandomi il tempo di far finta di ridere alla sua battuta e sperare di sentirgli dire "scherzo".
Di fronte a noi s'intravedevano i bordi di un fienile. 
Ci avvicinammo svelti. Legno marcio, travi fatiscenti, quel posto non aveva un bell'aspetto. Qualcuno aveva buttato lì un vetusto televisore, c'era molta spazzatura.

Il sentiero, il monte, la fica della Hack o qualsiasi altra cosa avessimo attraversato immersi nel buio di una notte senza luna, era tutto alle nostre spalle. Di fronte c'era  solo un capanno abbandonato, logorato dal tempo.
Inciampai sui resti di un gatto senza testa.

“Io vado via” gorgogliai.
“Piantala.” imperò e mi trattenne per un braccio.
“Sei sicuro che non sia qualche cazzata satanica?”
“Sei tu una cazzata satanica.”

[Continua. Stavolta Gratis, ma non abituatevi.]

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Drink! in ogni storia c'è un  po' di realtà.