31 luglio 2010

Drunk Open Letter

Cara mia Franz come vedi ti scrivo, e quando uno scrive deve avere un motivo.
Il mio è dirti che, in questi giorni, mi sento un po’ solo. E citare quel coglione di Ligabue credo sia sintomatico a sufficienza.

Mi sento solo perchè spesso, per non dire sempre, lascio che la fantasia colmi il gap con il mondo reale.
E chissà che non funzioni davvero.

Mi sento solo per quello che ho vissuto, per quello che nessuno riesce ad immaginare, per quello che dissimulo e perché sono umano.
Mi sento solo perché nemmeno chi mi conosce nella realtà riesce a capirmi.
Mi sento solo perché probabilmente nessuno mi capisce. Probabilmente non so spiegarmi. 
E mia madre, che mi capiva perfettamente senza che fosse necesasario dare spiegazioni, è morta di cancro, ed io non ho potuto fare nulla.
Nulla.

Hai presente il nulla? È esattamente come la Storia Infinita lo descriveva.
O come il sonno dopo una sbronza, che mi auguro riesca ad inghiottirmi presto.
O come il tempo che intercorre tra il tuo numero e quello del cliente precedente al bancone di una qualsiasi gastronomia o alle poste.
O come quando non ti viene duro.

Impotenza, l’incubo di ogni uomo.
Qual è l’incubo di ogni donna? A parte ingrassare o perdere una puntata di Grey’s Anatomy, intendo.

Mi sento solo perché, quando finisco di lavorare alle 11 di sera, e poi mi ritrovo lì, a fumare una sigaretta e bere una ceres, cercando nella folla qualcuno con cui valga la pena scambiare quattro parole, mi sento solo.
Solo in mezzo a tanta gente.
Chi l’avrebbe mai detto che Jovanotti avesse torto?

Mi sento solo perché, quando commetto un errore, sono solo io a capire se chiedere scusa sia necessario o no.
Ed un sacco di volte la parola “scusa” non l’ho nemmeno pensata, se non sotto suggerimento.
Ed un sacco di volte non ho avuto suggerimenti.
Ed un sacco di volte ho compiuto errori.
E chissà quanti ne compierò ancora.

Mi sento solo perché tra poco “29” non sarà la risposta che dovrò dare a chi mi domanda quanto è lungo il mio pene in centimetri, ma sarà la risposta che dovrò dare a chi mi chiede quanti anni ho.
E poco importa apparire come un ventenne, il punto non è l'età, so di essere giovane e so che seppellirò tante persone, ma non ho combinato un cazzo di niente, a 29 anni.

Un cazzo di niente.

Mai stato a Londra, mai partecipato ad un orgia, mai pagato una troia per sborrarle sulle tette, mai dato fuoco ad un bosco, mai ucciso il Premier, mai..
Lavoro a tempo determinato, affitto a tempo determinato, amore a tempo determinato, vita a tempo determinato.

Vaffanculo. A tempo indeterminato.

Una sola fottuta vita. Un solo fottuto tentativo per farcela, ad evitare i “mai” quando si parla di se stessi.
Per far sì che la tua esistenza abbia un sottotesto, una ragione, un cazzo di motivo.

Il mio motivo? Un giro di chitarra in Mi minore. Mim Sol Do Re, direi.

A volte, anche da sobri, si è felici semplicemente supponendo di poterlo essere e stonando melodie improvvisate su un giro di chitarra.

Altre volte, quando la ragione prende il sopravvento e sobri lo si è al 100%, dio maledica l’intelletto e la lucidità, vuoi perché hai finito l’hashish o vuoi perché non hai abbastanza soldi per andare avanti, e figurati se ne hai per bere, il tutto si risolve in relazione al tuo conflitto con la realtà.
Quella realtà senza motivo.

Ne puoi uscire sconfitto, ne puoi uscire vincente.

Certamente, se hai un minimo di senso del ritmo o se le tue sinapsi funzionano a dovere,  non puoi uscirne felice.
Alcuni non ne escono affatto.

Cara Franz, forse ti scrivo solo perché non so a chi urlare la mia rabbia ed ho appena rotto il cinquantesimo Mi cantino della mia vita, e tu che sei solo un’idea, una bella idea, mi metti a mio agio e costi meno di un analista, o forse solo perché tutti i nostri demoni sembrano meno spaventosi quando li descriviamo, e magari parlarne serve ad imprigionarli in queste fragili gabbie di bit e html.

E chissà che non funzioni davvero.



Yes, We
Drink! il primo blog videoludico letto anche da ragazze gnocche.